Tutto Dante ~ XIX e XX dell’Inferno

Dante Alighieri
Canti XIX e XX dell’Inferno



Anche stasera doppio appuntamento con Roberto Benigni e la sua lettura esegetica della Commedia di Dante: canto XIX e canto XX dell’Inferno.

Lo spettacolo Tutto Dante va in onda su Rai 2 in prima serata:

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Canto XIX
«Canto XIX, nel quale sgrida contra li simoniachi in persona di Simone Mago, che fu al tempo di san Pietro e di santo Paulo, e contra tutti coloro che simonia seguitano, e qui pone le pene che sono concedute a coloro che seguitano il sopradetto vizio, e dinomaci entro papa Niccola de li Orsini di Roma perché seguitò simonia; e pone de la terza bolgia de l’inferno.» (Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)

O Simon mago, o miseri seguaci
che le cose di Dio, che di bontate
deon essere spose, e voi rapaci 3

per oro e per argento avolterate,
or convien che per voi suoni la tromba,
però che ne la terza bolgia state. 6

Già eravamo, a la seguente tomba,
montati de lo scoglio in quella parte
ch’a punto sovra mezzo ’l fosso piomba. 9

O somma sapïenza, quanta è l’arte
che mostri in cielo, in terra e nel mal mondo,
e quanto giusto tua virtù comparte! 12

Io vidi per le coste e per lo fondo
piena la pietra livida di fóri,
d’un largo tutti e ciascun era tondo. 15

Non mi parean men ampi né maggiori
che que’ che son nel mio bel San Giovanni,
fatti per loco d’i battezzatori; 18

l’un de li quali, ancor non è molt’anni,
rupp’io per un che dentro v’annegava:
e questo sia suggel ch’ogn’omo sganni. 21

Fuor de la bocca a ciascun soperchiava
d’un peccator li piedi e de le gambe
infino al grosso, e l’altro dentro stava. 24

Le piante erano a tutti accese intrambe;
per che sì forte guizzavan le giunte,
che spezzate averien ritorte e strambe. 27

Qual suole il fiammeggiar de le cose unte
muoversi pur su per la strema buccia,
tal era lì dai calcagni a le punte. 30

“Chi è colui, maestro, che si cruccia
guizzando più che li altri suoi consorti”,
diss’io, “e cui più roggia fiamma succia?”. 33

Ed elli a me: “Se tu vuo’ ch’i’ ti porti
là giù per quella ripa che più giace,
da lui saprai di sé e de’ suoi torti”. 36

E io: “Tanto m’è bel, quanto a te piace:
tu se’ segnore, e sai ch’i’ non mi parto
dal tuo volere, e sai quel che si tace”. 39

Allor venimmo in su l’argine quarto;
volgemmo e discendemmo a mano stanca
là giù nel fondo foracchiato e arto. 42

Lo buon maestro ancor de la sua anca
non mi dipuose, sì mi giunse al rotto
di quel che si piangeva con la zanca. 45

“O qual che se’ che ’l di sù tien di sotto,
anima trista come pal commessa”,
comincia’ io a dir, “se puoi, fa motto”. 48

Io stava come ’l frate che confessa
lo perfido assessin, che, poi ch’è fitto,
richiama lui per che la morte cessa. 51

Ed el gridò: “Se’ tu già costì ritto,
se’ tu già costì ritto, Bonifazio?
Di parecchi anni mi mentì lo scritto. 54

Se’ tu sì tosto di quell’aver sazio
per lo qual non temesti tòrre a ’nganno
la bella donna, e poi di farne strazio?”. 57

Tal mi fec’io, quai son color che stanno,
per non intender ciò ch’è lor risposto,
quasi scornati, e risponder non sanno. 60

Allor Virgilio disse: “Dilli tosto:
“Non son colui, non son colui che credi””;
e io rispuosi come a me fu imposto. 63

Per che lo spirto tutti storse i piedi;
poi, sospirando e con voce di pianto,
mi disse: “Dunque che a me richiedi? 66

Se di saper ch’i’ sia ti cal cotanto,
che tu abbi però la ripa corsa,
sappi ch’i’ fui vestito del gran manto; 69

e veramente fui figliuol de l’orsa,
cupido sì per avanzar li orsatti,
che sù l’avere e qui me misi in borsa. 72

Di sotto al capo mio son li altri tratti
che precedetter me simoneggiando,
per le fessure de la pietra piatti. 75

Là giù cascherò io altresì quando
verrà colui ch’i’ credea che tu fossi,
allor ch’i’ feci ’l sùbito dimando. 78

Ma più è ’l tempo già che i piè mi cossi
e ch’i’ son stato così sottosopra,
ch’el non starà piantato coi piè rossi: 81

ché dopo lui verrà di più laida opra,
di ver’ ponente, un pastor sanza legge,
tal che convien che lui e me ricuopra. 84

Nuovo Iasón sarà, di cui si legge
ne’ Maccabei; e come a quel fu molle
suo re, così fia lui chi Francia regge”. 87

Io non so s’i’ mi fui qui troppo folle,
ch’i’ pur rispuosi lui a questo metro:
“Deh, or mi dì: quanto tesoro volle 90

Nostro Segnore in prima da san Pietro
ch’ei ponesse le chiavi in sua balìa?
Certo non chiese se non “Viemmi retro”. 93

Né Pier né li altri tolsero a Matia
oro od argento, quando fu sortito
al loco che perdé l’anima ria. 96

Però ti sta, ché tu se’ ben punito;
e guarda ben la mal tolta moneta
ch’esser ti fece contra Carlo ardito. 99

E se non fosse ch’ancor lo mi vieta
la reverenza de le somme chiavi
che tu tenesti ne la vita lieta, 102

io userei parole ancor più gravi;
ché la vostra avarizia il mondo attrista,
calcando i buoni e sollevando i pravi. 105

Di voi pastor s’accorse il Vangelista,
quando colei che siede sopra l’acque
puttaneggiar coi regi a lui fu vista; 108

quella che con le sette teste nacque,
e da le diece corna ebbe argomento,
fin che virtute al suo marito piacque. 111

Fatto v’avete dio d’oro e d’argento;
e che altro è da voi a l’idolatre,
se non ch’elli uno, e voi ne orate cento? 114

Ahi, Costantin, di quanto mal fu matre,
non la tua conversion, ma quella dote
che da te prese il primo ricco patre!”. 117

E mentr’io li cantava cotai note,
o ira o coscïenza che ’l mordesse,
forte spingava con ambo le piote. 120

I’ credo ben ch’al mio duca piacesse,
con sì contenta labbia sempre attese
lo suon de le parole vere espresse. 123

Però con ambo le braccia mi prese;
e poi che tutto su mi s’ebbe al petto,
rimontò per la via onde discese. 126

Né si stancò d’avermi a sé distretto,
sì men portò sovra ’l colmo de l’arco
che dal quarto al quinto argine è tragetto. 129

Quivi soavemente spuose il carco,
soave per lo scoglio sconcio ed erto
che sarebbe a le capre duro varco. 132

Indi un altro vallon mi fu scoperto.




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Canto XX
«Canto XX, dove si tratta de l’indovini e sortilegi e de l’incantatori, e de l’origine di Mantova, di che trattare diede cagione Manto incantatrice; e di loro pene e miseria e de la condizione loro misera, ne la quarta bolgia, in persona di Michele di Scozia e di più altri.» (Anonimo commentatore dantesco del XIV secolo)

Di nova pena mi conven far versi
e dar matera al ventesimo canto
3 de la prima canzon, ch’è d’i sommersi.

Io era già disposto tutto quanto
a riguardar ne lo scoperto fondo,
6 che si bagnava d’angoscioso pianto;

e vidi gente per lo vallon tondo
venir, tacendo e lagrimando, al passo
9 che fanno le letane in questo mondo.

Come ’l viso mi scese in lor più basso,
mirabilmente apparve esser travolto
12 ciascun tra ’l mento e ’l principio del casso,

ché da le reni era tornato ’l volto,
e in dietro venir li convenia,
15 perché ’l veder dinanzi era lor tolto.

Forse per forza già di parlasia
si travolse così alcun del tutto;
18 ma io nol vidi, né credo che sia.

Se Dio ti lasci, lettor, prender frutto
di tua lezione, or pensa per te stesso
com’io potea tener lo viso asciutto21,

quando la nostra imagine di presso
vidi sì torta, che ’l pianto de li occhi
24 le natiche bagnava per lo fesso.

Certo io piangea, poggiato a un de’ rocchi
del duro scoglio, sì che la mia scorta
mi disse: “Ancor se’ tu de li altri sciocchi? 27

Qui vive la pietà quand’è ben morta;
chi è più scellerato che colui
che al giudicio divin passion comporta?30

Drizza la testa, drizza, e vedi a cui
s’aperse a li occhi d’i Teban la terra;
33 per ch’ei gridavan tutti: “Dove rui,

Anfïarao? perché lasci la guerra?”.
E non restò di ruinare a valle
36 fino a Minòs che ciascheduno afferra.

Mira c’ ha fatto petto de le spalle;
perché volse veder troppo davante,
di retro guarda e fa retroso calle.39

Vedi Tiresia, che mutò sembiante
quando di maschio femmina divenne,
42 cangiandosi le membra tutte quante;

e prima, poi, ribatter li convenne
li duo serpenti avvolti, con la verga,
45 che rïavesse le maschili penne.

Aronta è quel ch’al ventre li s’atterga,
che ne’ monti di Luni, dove ronca
48 lo Carrarese che di sotto alberga,

ebbe tra ’ bianchi marmi la spelonca
per sua dimora; onde a guardar le stelle
51 e ’l mar non li era la veduta tronca.

E quella che ricuopre le mammelle,
che tu non vedi, con le trecce sciolte,
54 e ha di là ogne pilosa pelle,

Manto fu, che cercò per terre molte;
poscia si puose là dove nacqu’ io;
57 onde un poco mi piace che m’ascolte.

Poscia che ’l padre suo di vita uscìo
e venne serva la città di Baco,
60 questa gran tempo per lo mondo gio.

Suso in Italia bella giace un laco,
a piè de l’Alpe che serra Lamagna
sovra Tiralli, c’ ha nome Benaco.63

Per mille fonti, credo, e più si bagna
tra Garda e Val Camonica e Pennino
66 de l’acqua che nel detto laco stagna.

Loco è nel mezzo là dove ’l trentino
pastore e quel di Brescia e ’l veronese
69 segnar poria, s’e’ fesse quel cammino.

Siede Peschiera, bello e forte arnese
da fronteggiar Bresciani e Bergamaschi,
72 ove la riva ’ntorno più discese.

Ivi convien che tutto quanto caschi
ciò che ’n grembo a Benaco star non può,
75 e fassi fiume giù per verdi paschi.

Tosto che l’acqua a correr mette co,
non più Benaco, ma Mencio si chiama
78 fino a Governol, dove cade in Po.

Non molto ha corso, ch’el trova una lama,
ne la qual si distende e la ’mpaluda;
81 e suol di state talor esser grama.

Quindi passando la vergine cruda
vide terra, nel mezzo del pantano,
84 sanza coltura e d’abitanti nuda.

Lì, per fuggire ogne consorzio umano,
ristette con suoi servi a far sue arti,
87 e visse, e vi lasciò suo corpo vano.

Li uomini poi che ’ntorno erano sparti
s’accolsero a quel loco, ch’era forte
90 per lo pantan ch’avea da tutte parti.

Fer la città sovra quell’ossa morte;
e per colei che ’l loco prima elesse,
93 Mantüa l’appellar sanz’altra sorte.

Già fuor le genti sue dentro più spesse,
prima che la mattia da Casalodi
96 da Pinamonte inganno ricevesse.

Però t’assenno che, se tu mai odi
originar la mia terra altrimenti,
99 la verità nulla menzogna frodi”.

E io: “Maestro, i tuoi ragionamenti
mi son sì certi e prendon sì mia fede,
che li altri mi sarien carboni spenti.102

Ma dimmi, de la gente che procede,
se tu ne vedi alcun degno di nota;
105 ché solo a ciò la mia mente rifiede”.

Allor mi disse: “Quel che da la gota
porge la barba in su le spalle brune,
108 fu – quando Grecia fu di maschi vòta,

sì ch’a pena rimaser per le cune –
augure, e diede ’l punto con Calcanta
111 in Aulide a tagliar la prima fune.

Euripilo ebbe nome, e così ’l canta
l’alta mia tragedìa in alcun loco:
114 ben lo sai tu che la sai tutta quanta.

Quell’altro che ne’ fianchi è così poco,
Michele Scotto fu, che veramente
de le magiche frode seppe ’l gioco.117

Vedi Guido Bonatti; vedi Asdente,
ch’avere inteso al cuoio e a lo spago
120 ora vorrebbe, ma tardi si pente.

Vedi le triste che lasciaron l’ago,
la spuola e ’l fuso, e fecersi ’ndivine;
123 fecer malie con erbe e con imago.

Ma vienne omai, ché già tiene ’l confine
d’amendue li emisperi e tocca l’onda
126 sotto Sobilia Caino e le spine;

e già iernotte fu la luna tonda:
ben ten de’ ricordar, ché non ti nocque
129 alcuna volta per la selva fonda”.

Sì mi parlava, e andavamo introcque.






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