Vasco Pratolini

#AccaddeOggi
12 gennaio 1991: muore a Roma Vasco Pratolini.

Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti

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Incipit da Vasco Pratolini, Cronache di poveri amanti
Ha cantato il gallo del Nesi carbonaio, si è spenta la lanterna dell’Albergo Cervia. Il passaggio della vettura che riconduce i tranvieri del turno di notte ha fatto sussultare Oreste parrucchiere che dorme nella bottega di via dei Leoni, cinquanta metri da via del Corno. Domani, giorno di mercato, il suo primo cliente sarà il fattore di Calenzano che ogni venerdì mattina si presenta con la barba di una settimana. Sulla Torre di Arnolfo il marzocco rivolto verso oriente garantisce il bel tempo. Nel vicolo dietro Palazzo Vecchio i gatti disfanno i fagotti dell’immondizia. Le case sono così a ridosso che la luce lunare sfiora appena le finestre degli ultimi piani. Ma il gallo del Nesi, ch’è in terrazza, l’ha vista ed ha cantato.

Spenta la lanterna elettrica dell’Albergo, in via del Corno resta accesa una sola finestra, nella camera della Signora che trascorre la notte in compagnia delle sue piaghe alla gola. Il cavallo di Corrado maniscalco scalpita di tanto in tanto: ha la mangiatoia sistemata sul retro della forgia. È maggio, e nell’aria notturna, senza alito di vento, affiorano i cattivi odori. Davanti alla mascalcia è accumulato lo sterco dei cavalli ferrati durante la giornata. Il monumentino, all’angolo di via dei Leoni, è colmo e straripa ormai da mesi. I fagotti e le biche della spazzatura domestica sono stati seminati fuori delle porte come di consueto.

I poliziotti hanno il passo pesante e la voce sicura. Entrano in via del Corno con la familiarità e la spigliatezza del pugilatore fra le corde. È la ronda degli ammoniti.

A quelle parole il garzone rientrò nelle spalle come colpito a bruciapelo da una bastonata. E tutto allegro le rispose: “Non mancherò di riferire”. Fece la strada a passo svelto per portare la notizia. Ma prima di salire dal Nesi, si affacciò allo sgabuzzino delle Staderini: “Domani festa in famiglia. Viene in visita la bella!”.

Via del Corno ne fu informata in poche ore. Questa volta Musetta non incontrò Adele: i Cecchi non condivisero, con la loro ansia, l’attesa generale di “un fatto che avrebbe fatto rivoltare le pietre”. Il Nesi chiamò il figlio e gli disse:

“Se ancora mi vuoi un po’ di bene risparmiami questo scandalo. In fondo, ne va di mezzo anche il tuo nome. Corri da quella disgraziata, dille che se domattina si presenta in via del Corno, ce la faccio rimanere per sempre. Ma a casa dei suoi genitori! Metto il bambino a balia e lei la considero una morta”.

“Scrivile un biglietto, glielo porterà il garzone” disse Otello.

“Macché” urlò il vecchio. “Quella è un’incosciente. Devi andarci tu. Bisogna che tu la persuada”.

Otello si arrese. Aurora gli aperse la porta, gli buttò le braccia al collo: ”Hai visto se ti ho fatto ritornare?” gli disse.

Occorsero due settimane, perché il Nesi potesse ristabilirsi e recarsi di nuovo, ogni sera, in seno alla sua seconda famiglia.

Al mattino, Otello era sempre uscito quando suo padre si svegliava. Aveva già aperto bottega e spazzato fuori la soglia. Era primavera, aprile, allorché Aurora confidò al vecchio Nesi di trovarsi nuovamente incinta. Il Nesi le dette due schiaffi, uno per guancia. “Sei una infame” gridava. “Ma questa volta” e bestemmiava, “questa volta lo butti giù”.

Aurora si rifiutò di abortire. “Piuttosto, lasciami. Tirerò avanti da sola.”





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